Gigi Riva e il Cagliari: presidente onorario per amore. Quei ricordi con Boniperti, Agnelli e la Juve...

Su Cuore Rossoblù, il giornale ufficiale del Cagliari Calcio, lunga intervista con Luca Telese dove l'ex bomber racconta e si racconta, all'interno di un rapporto indissolubile con la Sardegna. Sul match di lunedì allo Stadium: «Mi piacerebbe che ci facessero una bella sorpresa a Torino, con la Juventus»

TORINO - Una lunga intervista su Cuore Rossoblù, il giornale del Cagliari. Così, Gigi Riva si confessa, racconta e si racconta a Luca Telese. Presidente onorario per amore.... Rombo di Tuono parla della famiglia, di quando rimase orfano, del Lagnano, delle scelte, della Juventus, dello scudetto. E quella telefonata a Boniperti, con mezzo secolo di ritardo... Infine, sul match dello Stadium, di lunedì, dice: «Mi piacerebbe che ci facessero una bella sorpresa a Torino, con la Juve.... Ma a dicembre, ridendo e scherzando, tra squalifiche e infortuni c’erano sei titolari indisponibili. La squadra è forte; e quando tornano tutti si vedrà».

Ecco alcuni passaggi

Buongiorno Gigi
(Sorride). Ehhh...
Ehhh cosa?
Questa cosa della presidenza onoraria. Se dovessi dire tutta la verità...è un riconoscimento bello, un riconoscimento onorifico che mi fa piacere, che mi rende felice. Ma...
Ma?
A dirla tutta? Solo all’idea che poi accadesse davvero non ci ho dormito per due giorni.
In senso metaforico?
(Ride di gusto). No, no: in senso letterale. Per come sono fatto io, per come l’ho presa io. Che responsabilità che è, per me.
Spiegalo.
Tu sai che mi piace dormire bene. Soprattutto quando posso. Ma poi devo fare i conti con i miei fantasmi, le mie inquietudini. I miei sentimenti. Pensa che da quando Giulini mi ha detto che voleva nominarmi in questo ruolo, nei giorni prima del Consiglio ho passato notti intere a contemplare il soffitto. Occhi sbarrati. Neanche un minuto di sonno.
Ma perché?
Perché quando si tratta del Cagliari io prendo tutto terribilmente sul serio. Questa società non è una delle cose della mia vita. È la storia della mia vita. È la chiave del mio rapporto con la Sardegna, è il mio sangue.
Questo ti fa onore
Sì, ma devi capire che allo stesso tempo l’idea di questa responsabilità mi dà anche molta angoscia.
Che cosa ti angoscia, esattamente?
Beh, intanto sono scaramantico: so che il mio nome pesa come una pietra. E non vorrei che lo facesse in negativo.
Non parlerai mica dei risultati?
(Sorride). Anche. Penso: c’è stato un momento magico. E se da quando c’è Riva le cose iniziassero ad andare peggio?
Stai scherzando...
Ehhh... guarda che in questo sport ogni dettaglio conta.
Tutti sanno che tu stai facendo un regalo al Cagliari.
Per me è un atto d’amore.
Nella squadra erano tutti contenti di questa notizia.
E questo mi fa molto piacere. Però vorrei che tutti sapessero una cosa: io non sarò un presidente onorario che invade spazi non suoi, che gira per il centro sportivo a dire la sua, che si ritaglia visibilità commentando le partite e pronunciando sentenze. Uno che vuole mettere becco.
Non c’è nemmeno bisogno di scriverlo.
No, fallo. E dì anche che se mi chiamano i giornalisti io non rispondo al telefono. Dopo quelle due notti in bianco, ero stato tentato di chiamare Giulini e dirgli: “Tommaso, grazie mille ma non accetto”. Poi mi sono detto: “Gigi, in questo momento straordinario del Cagliari, tra il Centenario della fondazione e il campionato, con quella classifica da difendere nei prossimi mesi, se c’è qualcosa, anche una piccola cosa simbolica che puoi fare, tu devi farla”.
E alla fine hai accettato.
Sì, ma prima di qualsiasi altra cosa scrivi che sarò un presidente onorario anomalo. Un presidente onorario tifoso. Uno che segue la partita dal suo televisore come tutti gli altri. Uno che soffre e gioisce in silenzio. Onorario come se fossi il primo rossoblù sul campo, non perché mi metto dei gradi.
La società voleva fare una cerimonia.
Ora? Macché cerimonia! Ho detto a Giulini: “Tommaso, seguiamo il calendario del calcio, che per me è sacro: facciamo finire il campionato, tocchiamo ferro, incrociamo le dita e poi vedremo”. Ho assunto questo ruolo onorifico, ma in punta di piedi, senza rompere le scatole a nessuno.

.....
Parlavi di sigarette: fumi ancora?
Meno, ormai. Mi controllo. Mai più di un pacchetto al giorno.
Torniamo a quel bimotore che ti portava per la prima volta in Sardegna.
Tu sai che la mia cessione era stata rocambolesca.
All’Olimpico, per la nazionale Juniores, 13 marzo ’63, molti osservatori in tribuna: per il Cagliari ci sono Silvestri, Tognon e Arrica. Nell’intervallo chiudono accordo col Legnano per 37 milioni.
Esatto. Nel secondo tempo io segno il 3-2 della vittoria e il Bologna a fine partita offre 50 milioni. Ma i dirigenti si erano già stretti la mano e quindi niente da fare: Cagliari. A me non lo dice nemmeno il presidente, ma il mister Lupi. Senza una parola di commento: “Sei stato ceduto”. Punto. Quindi finisco su quell’aereo tra Milano e Cagliari: un viaggio infinito, quattro scali! Non era un aereo, ma una corriera. Viaggiavo con Lupi e Fausta, siamo nella primavera del 1963. Un’altra Italia.
È vero che nella tappa ad Alghero ti sei addirittura informato se c’era un volo che tornasse a Milano?
Ah ah ah. Vero. Chiedevo. Con Lupi dietro di me che mi dava i calci sotto il sedile se solo ne parlavo. “Trentasette milioni!”. Per il Legnano era vita o morte.
......
Dice Fabio Capello che un giorno ti vide allenarti in Nazionale: “Quattordici cross, quattordici tiri al volo, quattordici centri consecutivi: Gigi faceva paura”
Io tutte queste cose non me le ricordo. Le facevo e basta.
E il rigore con la Juventus, l’anno dello scudetto?
Pensavo: “Ne ho tirato mille, così, e altri mille ne tirerò dopo”. E la palla era in rete. Siamo andati avanti così: un gruppo di ragazzi che amavano follemente il calcio, una squadra vera, un grande allenatore, e passo dopo passo siamo arrivati allo scudetto.
Tu quando hai capito che si poteva vincere?
(Prende la parola Tomasini). Ti ricordi Gigi? Per mesi non dicemmo nemmeno una parola, nessuno di noi. Poi ne parlò Scopigno nello spogliatoio di Bari e capimmo che stava diventando vero.
(Riva riprende la parola). Ora che lo dici mi rivedo la scena davanti agli occhi. Entra Scopigno e fa: “Se non perdiamo oggi vinciamo lo scudetto”.
E non disse nient’altro?
(Ride). Non c’era bisogno di tanti discorsi. Infatti non perdemmo a Bari e vincemmo lo scudetto. Fra l’altro proprio dopo aver vinto con il Bari al ritorno.
E oggi cosa pensi?
Che io ero orfano. E che poi sono stato adottato da una squadra e da una città. E infine da una Regione.
E per questo hai detto di no alla Juve otto volte?
Ehhhh... Su questo tema ho un aneddoto molto divertente da raccontarti, su come le cose lasciano segni nel tempo.
Racconta.
Dopo la terza volta che avevo rifiutato il trasferimento loro avevano capito che non mi sarei mosso. Tuttavia mi chiamavano ogni anno.
Chi?
Lo stato maggiore della Juve.
Agnelli?
Si, Agnelli, certo. Mi voleva. Ma quello che proprio non mollava mai era Boniperti. Mi chiamava ogni anno. Partiva da lontano col discorso, ma poi arrivava sempre lì, alla Juve. E ogni volta io gli ho risposto cortesemente di no.
Perché?
L’ho spiegato tante volte. Per amore di questa terra, come è noto. Poi anche per orgoglio, quando giocavo, ho sempre difeso la mia scelta, ma ovviamente qualche dubbio per la testa ti passava.
E con chi ne parlavi? Con tua sorella?
Nooo! Con i miei compagni. E dicevo: “Se a voi va bene non mi muovo”. Una volta Martiradonna mi fa: “Ecco, rimani, così finisco di pagare la cucina”.
E adesso ?
Adesso sono convinto di aver fatto bene.
E l’aneddoto sul trasferimento?
Un giorno, qualche anno fa, in un aeroporto incontro qualcuno della Juve che mi dice: “Gigi, chiamiamo insieme Boniperti e gli facciamo gli auguri?”. Ora, se c’è una persona che stimo, nel mondo del calcio, è Boniperti. E quindi rispondo: “Certo!”.
Così lo chiamate...
Prendo la linea io per un effetto sorpresa. Faccio: “Sono Gigi Riva!”.
E lui?
Sento dall’altra parte del telefono che lui c’è. Ma non dice nulla. Gli faccio: “Mi senti Giampiero?”.
E lui?
“Ti sento, ti sento Gigi”. E fa una pausa. Allora gli chiedo: “Tutto bene?”. E lui, serissimo: “Bene, sì. Ma non sarei sincero se non ti dicessi che io questa telefonata, da te, l’aspettavo mezzo secolo fa”.
....
E il Cagliari di oggi? Che squadra è, per te?
È una squadra vera. Intanto mi piace Maran, perché è un mister che sa tutto della Serie A, e questo è importante. Ha una sua idea di calcio. Gestisce la rosa. Vedo il lavoro di costruzione che ha fatto la società, la passione che ci ha messo Giulini. In questo c’è una relazione con noi. Anche il nostro ciclo è iniziato molto prima che arrivassimo a vincere. Anche questo Cagliari in campo schiera diversi leader. Prendi la partita con la Lazio. Io non credo di aver mai fatto un recupero così. Ma nei novanta minuti la partita era vinta, e meritatamente. Però a giudicare una squadra quando vince sono bravi tutti. Io ho imparato che gli uomini devi valutarli quando perdono. È quello il momento più difficile.
Non sei preoccupato.
Mi piacerebbe che ci facessero una bella sorpresa a Torino, con la Juve.... Ma a dicembre, ridendo e scherzando, tra squalifiche e infortuni c’erano sei titolari indisponibili. La squadra è forte; e quando tornano tutti si vedrà...

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